ZIA LELLA’S WORK
5:55:00 PM Edit This 3 Comments »
C’era una volta, un milione di anni fa, una ragazza, simpatica e carina che studiava per aiutare il prossimo.
Era una ragazza radiosa sorridente sempre sorpresa della vita e delle cose.
Più si addentrava nei meandri della mente umana, più trovava stupefacene questa macchina chiamata cervello. Era affascinata da tutto, da ogni singola sinapsi, perfino dalle tare e dalle malattie, trovava bellissimo ogni meccanismo.
Ogni colloquio, ogni discussione, ogni confronto con amici e parenti, era occasione per mettersi in gioco, per vedere se “capiva” , se aveva “studiato”.
Un giorno le venne proposto dai servizi sociali di iniziare a rapportarsi con dei minori a “rischio sociale” – così si diceva al tempo - e lei accettò.
Questa meravigliosa avventura durò ben sette anni. Esperienza forte e impegnativa dove, quotidianamente si doveva confrontare con situazioni che mai pensava potessero esserci nella sua piccola città sonnacchiosa e quieta:
Dovette confrontarsi con bambini per rassicurarli che erano la persona più matura della famiglia;
Si trovò a spiegare ad un ragazzino di dodici anni e a uno di sei perché la madre si strafogava di vino fino a caracollare sotto la tavola tra il suo vomito e il suo piscio…
Raccattò ragazzini da bar incredibili a ore in cui i bambini dovrebbero essere a letto;
Accompagnò in comunità più di quanti volesse ricordare, ragazzini che avevano visto l’improponibile e l’inenarrabile..
Si scontrò con padri che volevano continuare a “dormire” con le proprie figlie o anche i propri figli, portò in ospedale bimbetti con teste spaccate perché "mammina" si era arrabbiata…
Sorresse genitori che avevano paura dei figli e figli che non sapevano cosa significasse avere dei genitori…
Per i primi sei mesi di questa esperienza, tornava a casa alla sera, vomitava e poi andava a letto. Poi questa fase passò, diventò più stabile emotivamente, imparò a staccarsi da tutte quelle dinamiche di sofferenza, e continuò ad imparare, con meno allegria e meno meraviglia, ma imparò ad ascoltare e non solo sentire, imparò il valore del silenzio che non va riempito per forza di parole...
Dopo sette anni cambiò settore, e si dedicò alle tossicodipendenze, ma questa è un'altra puntata.
L'altra sera ero seduta su un morbido divano a casa di amici e la televisione, forse dimenticata accesa, chiacchiericciava in sottofondo tra le risate e le sciocchezze di una tranquilla serata passata tra amici.
Ad un certo punto inizò la trasmissione Un Giorno in Pretura e processavano la madre per l’omicidio di Maria, una bambina di due anni che è stata abusata, penetrata da un ammasso di carne e sangue (chiamarlo uomo, essere o addirittura persona è una bestemmia) e poi uccisa a calci e pugni perché piangeva.
Sono stata risucchiata in un flash back di ricordi e mi sono ritrovata indietro di vent’anni con lo stesso senso di nausea e di ansia. Sono più vecchia e, spero più matura di vent'anni fa, non ho più il sorriso negli occhi e gli utenti – così li chiamo io ora - mi dicono che i miei occhi sono "spilli e che trafiggono lo stomaco e il cervello", riescono a "raggiungere l’anima e rubarti i pensieri". Eppure non riesco ancora a dimenticare o, almeno ad accantonare i miei bambini.
I miei “bambini”…avranno tutti sui trent’anni; qualcuno avrà dei figli...
io ne ho due, piccole piccole e a volte le guardo e mi chiedo cosa vedano loro negli occhi della madre, nei miei occhi.
Delle centinaia di ragazzini, minori, piccoli uomini e donne di quel tempo ricordo solo gli sguardi i grandi occhi pieni di paura, o di odio, o di nulla.
Sguardi così diversi eppure così simili. Stanotte mi sono seduta vicino ai lettini delle mie bimbe, per terra, vicino alla finestra, e ho pianto. Ho pianto per tutti quegli occhi grandi che non sanno meravigliarsi da una stella cadente o dal lento scendere di un fiocco di neve.
Ho pianto perché sono ancora convinta che il mondo è un bel posto dove si ha diritto di vivere, non sopravvivere, di sorridere e di sorprendersi.
Piccole mie, spero che per voi il mondo rimanga ancora a lungo un foglio pieno di colore e le notti siano accese da un grosso sole giallo pastello disegnato su un foglio azzurro e rosa.
Era una ragazza radiosa sorridente sempre sorpresa della vita e delle cose.
Più si addentrava nei meandri della mente umana, più trovava stupefacene questa macchina chiamata cervello. Era affascinata da tutto, da ogni singola sinapsi, perfino dalle tare e dalle malattie, trovava bellissimo ogni meccanismo.
Ogni colloquio, ogni discussione, ogni confronto con amici e parenti, era occasione per mettersi in gioco, per vedere se “capiva” , se aveva “studiato”.
Un giorno le venne proposto dai servizi sociali di iniziare a rapportarsi con dei minori a “rischio sociale” – così si diceva al tempo - e lei accettò.
Questa meravigliosa avventura durò ben sette anni. Esperienza forte e impegnativa dove, quotidianamente si doveva confrontare con situazioni che mai pensava potessero esserci nella sua piccola città sonnacchiosa e quieta:
Dovette confrontarsi con bambini per rassicurarli che erano la persona più matura della famiglia;
Si trovò a spiegare ad un ragazzino di dodici anni e a uno di sei perché la madre si strafogava di vino fino a caracollare sotto la tavola tra il suo vomito e il suo piscio…
Raccattò ragazzini da bar incredibili a ore in cui i bambini dovrebbero essere a letto;
Accompagnò in comunità più di quanti volesse ricordare, ragazzini che avevano visto l’improponibile e l’inenarrabile..
Si scontrò con padri che volevano continuare a “dormire” con le proprie figlie o anche i propri figli, portò in ospedale bimbetti con teste spaccate perché "mammina" si era arrabbiata…
Sorresse genitori che avevano paura dei figli e figli che non sapevano cosa significasse avere dei genitori…
Per i primi sei mesi di questa esperienza, tornava a casa alla sera, vomitava e poi andava a letto. Poi questa fase passò, diventò più stabile emotivamente, imparò a staccarsi da tutte quelle dinamiche di sofferenza, e continuò ad imparare, con meno allegria e meno meraviglia, ma imparò ad ascoltare e non solo sentire, imparò il valore del silenzio che non va riempito per forza di parole...
Dopo sette anni cambiò settore, e si dedicò alle tossicodipendenze, ma questa è un'altra puntata.
L'altra sera ero seduta su un morbido divano a casa di amici e la televisione, forse dimenticata accesa, chiacchiericciava in sottofondo tra le risate e le sciocchezze di una tranquilla serata passata tra amici.
Ad un certo punto inizò la trasmissione Un Giorno in Pretura e processavano la madre per l’omicidio di Maria, una bambina di due anni che è stata abusata, penetrata da un ammasso di carne e sangue (chiamarlo uomo, essere o addirittura persona è una bestemmia) e poi uccisa a calci e pugni perché piangeva.
Sono stata risucchiata in un flash back di ricordi e mi sono ritrovata indietro di vent’anni con lo stesso senso di nausea e di ansia. Sono più vecchia e, spero più matura di vent'anni fa, non ho più il sorriso negli occhi e gli utenti – così li chiamo io ora - mi dicono che i miei occhi sono "spilli e che trafiggono lo stomaco e il cervello", riescono a "raggiungere l’anima e rubarti i pensieri". Eppure non riesco ancora a dimenticare o, almeno ad accantonare i miei bambini.
I miei “bambini”…avranno tutti sui trent’anni; qualcuno avrà dei figli...
io ne ho due, piccole piccole e a volte le guardo e mi chiedo cosa vedano loro negli occhi della madre, nei miei occhi.
Delle centinaia di ragazzini, minori, piccoli uomini e donne di quel tempo ricordo solo gli sguardi i grandi occhi pieni di paura, o di odio, o di nulla.
Sguardi così diversi eppure così simili. Stanotte mi sono seduta vicino ai lettini delle mie bimbe, per terra, vicino alla finestra, e ho pianto. Ho pianto per tutti quegli occhi grandi che non sanno meravigliarsi da una stella cadente o dal lento scendere di un fiocco di neve.
Ho pianto perché sono ancora convinta che il mondo è un bel posto dove si ha diritto di vivere, non sopravvivere, di sorridere e di sorprendersi.
Piccole mie, spero che per voi il mondo rimanga ancora a lungo un foglio pieno di colore e le notti siano accese da un grosso sole giallo pastello disegnato su un foglio azzurro e rosa.
3 commenti:
ciao, sono ancora io, che vuoi che ci faccia se non mi prende il nome? Ho provato come open, con url, se non ho un blog non mi accetta.
Mi ricordo di quel periodo, c'ero anch'io ed era difficile ma molto adrenalinico. Ora mia cara siamo vecchie. Ti ricordi quando mi dicevi che i ragazzi volevano che giocassi a calcio solo perchè mi ballava tutto il davanzale e io invece ero convinta di essere bravissima?
So che ora sai chi sono. Ti penso spesso e ti leggo sempre. Baci
ciao Floretta, da tempo che non ti sento.
Si lo ricordo bene.
Ma francamente non lo rimpiango, ho fatto altro e ho imparato altro.
baci e tel. non bloggare solo....
Thanks for postting this
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