IL DIFFICILE DI ESSERE DIFFICILE
9:44:00 PM Posted In educatore professionale , educatrice , fragilità scolastiche , minori , problemi di comportamento , ragazzi , scuola Edit This 0 Comments »
Negli ultimi anni i bambini con disturbi
dell’apprendimento e del comportamento, certificati a scuola, sono
esponenzialmente cresciuti.
Ognuno può trarre le sue valutazioni, quello che a
me fa riflettere è che stiamo vivendo all’interno di una società dove il
comando è “godi!” e non “Rinuncia!” che era la regola della civiltà di un tempo.
Ci troviamo di fronte ad una nuova inclinazione, non più legata all’assunzione
del limite, bensì all’assenza del divieto.
Diventa sempre più difficile per gli educatori sia
professionisti che insegnanti o genitori, introdurre la dimensione della
regole, insegnare il valore del limite e della legge. I genitori hanno paura di
vedere soffrire i figli, non vogliono
frustrare le loro aspettative e le loro richieste, così per i ragazzi diventa complicato
essere in grado di sopportare l’attesa e la distanza tra il momento della
richiesta e quello della soddisfazione.
E’ proprio questo “NO” che i genitori
faticano a pronunciare diventano importanti quando i bambini incontrano la
scuola che è il luogo delle regole, degli obblighi. Le regole non devono essere
vissute solo come limite o impedimento, le regole servono per il rispetto e il
funzionamento sociale della classe, ma servono anche per rispettare le richieste di apprendimento,
di conoscenza dei codici verbali e scritti a cui il bambino si deve conformare
e adattare.
Spesso purtroppo anche la logica messa in campo di chi si
occupa di questi ragazzi è in linea col
discorso sociale. Bisogna “correggere”,” normalizzare”, l’obiettivo è fare scomparire il sintomo
insopportabile per genitori e insegnanti. Le conseguenze dell’applicazione di questo
paradigma terapeutico sono la normalizzazione anche a costo di utilizzare
terapeuti – psicologi o psichiatri - somministrare farmaci e quindi
l’assegnazione di un handicap.
Io sono una
educatrice, non ricerco la “medicalizzazione” ad ogni costo e sono convinta che
la miglior “cura” sia garantire relazioni interpersonali basate sul valore del
singolo, delle sue capacità e non sulle sue mancanze, dare importanza alle
qualità relazionali e ai rapporti affettivi.
Premetto, non sono contraria ad ogni forma di terapia, ci
sono oggettivamente soggetti con sofferenza psichica, ci lavoro da oltre 18 anni, ma sono contraria alla
teoria del “malato” a tutti i costi, senza dare ascolto a ciò che il ragazzo/bambino ha l’esigenza di
comunicare. Bisogna chiedersi come suscitare la sua dimensione di desiderio,
costruire un suo progetto di vita.
Noi come educatori sappiamo che è il
desiderio di un bambino dipende dal desiderio dell’adulto, sia genitore,
insegnante o educatore che si prende cura di lui.
Per questo consiglio ai genitori che si trovano con un figlio con problemi di comportamento a scuola ad esigere dalla scuola stessa la presenza in classe di un educatore professionale che segua tutti i ragazzi (non solo il suo) attraverso un percorso di crescita personale e sociale.
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