Zia lella’s work part three
9:13:00 PM Posted In addetto all'assistenza , cooperativa , dipendenze , educatore , educatrice , manie , professionalità , senso della vita , sociale , violenza Edit This 2 Comments »
Operare con i tossici ti insegna l’umiltà del silenzio, la paura della violenza, la solitudine del dolore. Ma nello stesso tempo ti gratifica nel tuo ruolo professionale che è importante e riconosciuto socialmente. Di questo abiamo già parlato in zia lella's part two
Da questa esperienza mi sono ritrovata a lavorare in un istituto psichiatrico. Credo che nessuno di voi, se non c’è stato dentro (da una parte o dall’altra) non abbia la più pallida idea di cosa sia un istituto psichiatrico. Il matto, il folle - e tutti i suoi moderni e professionalmente corretti nomi, - non sono solo una persona malata, ma anche un giudizio morale o sociale. Il matto è strambo, non lo si capisce, se ne ha paura, a volte giustamente, ma il matto è essenzialmente una persona non libera, sia psicologicamente che fisicamente. Il matto è intrappolato all’interno delle sue visioni, non ha alternative per ciò che vede e sente, è oppresso dal suo essere matto. Il matto è un desaparecidos sociale, qualunque cosa dica, faccia, senta, è interpretata come non senso, inutile, non credibile “tanto è matto…” non vale niente… è terribile. Se sei etichettato come matto, non verrai mai più considerato, mai più.
L’obiettivo non è la comprensione della malattia, che è incomprensibile, ma la stabilizzazione del paziente. Non importa se questo viene fatto attraverso farmaci che inibiscono, confondono, riducono la capacità intellettiva del paziente. Basta che non dia fastidio. La sfida che noi educatori avevamo accettato era i riuscire a fare a stessa cosa, senza eliminare l’essenza della persona, l’essere strambo può essere una risorsa?
Il dolore in questo campo è infinito, totale, racchiude tutto l’essere ed esplode in un muto urlo che ti entra nella testa e ti destabilizza…
Ciò che ricordo di questa esperienza è la mancanza di silenzio, gli interminabili soliloqui dei miei pazienti, la paura che leggevi nei loro occhi quando capitava qualcosa di strano, le notti sempre rotte da urli, pianti, risa…Come professionista si poteva fare molto, ma alla fine non ci si credeva fino in fondo. Bisognava investire troppo tempo e soprattutto troppo denaro. Siamo diventati controllori, surrogati genitoriali di persone con trent’anni di più . Quando tutto questo ha smesso di essere dignitoso per me e per loro me ne sono andata.
Dopo quattro anni ho voluto cambiare e sono arrivata dove sono adesso cioè operare con persone disabili.
Ma questa è un’altra storia….
Da questa esperienza mi sono ritrovata a lavorare in un istituto psichiatrico. Credo che nessuno di voi, se non c’è stato dentro (da una parte o dall’altra) non abbia la più pallida idea di cosa sia un istituto psichiatrico. Il matto, il folle - e tutti i suoi moderni e professionalmente corretti nomi, - non sono solo una persona malata, ma anche un giudizio morale o sociale. Il matto è strambo, non lo si capisce, se ne ha paura, a volte giustamente, ma il matto è essenzialmente una persona non libera, sia psicologicamente che fisicamente. Il matto è intrappolato all’interno delle sue visioni, non ha alternative per ciò che vede e sente, è oppresso dal suo essere matto. Il matto è un desaparecidos sociale, qualunque cosa dica, faccia, senta, è interpretata come non senso, inutile, non credibile “tanto è matto…” non vale niente… è terribile. Se sei etichettato come matto, non verrai mai più considerato, mai più.
L’obiettivo non è la comprensione della malattia, che è incomprensibile, ma la stabilizzazione del paziente. Non importa se questo viene fatto attraverso farmaci che inibiscono, confondono, riducono la capacità intellettiva del paziente. Basta che non dia fastidio. La sfida che noi educatori avevamo accettato era i riuscire a fare a stessa cosa, senza eliminare l’essenza della persona, l’essere strambo può essere una risorsa?
Il dolore in questo campo è infinito, totale, racchiude tutto l’essere ed esplode in un muto urlo che ti entra nella testa e ti destabilizza…
Ciò che ricordo di questa esperienza è la mancanza di silenzio, gli interminabili soliloqui dei miei pazienti, la paura che leggevi nei loro occhi quando capitava qualcosa di strano, le notti sempre rotte da urli, pianti, risa…Come professionista si poteva fare molto, ma alla fine non ci si credeva fino in fondo. Bisognava investire troppo tempo e soprattutto troppo denaro. Siamo diventati controllori, surrogati genitoriali di persone con trent’anni di più . Quando tutto questo ha smesso di essere dignitoso per me e per loro me ne sono andata.
Dopo quattro anni ho voluto cambiare e sono arrivata dove sono adesso cioè operare con persone disabili.
Ma questa è un’altra storia….
2 commenti:
Zia Lella, è dura riuscire a stare vicino ad una persona "matta"... specie quando pensi di esserle talmente amica da riuscire a starle vicino anche nei momenti peggiori... ma poi quella persona combina qualcosa che ti allontana, che ti ferisce nel più profondo dell'essere e te ne vai... io me ne sono andata... non ce la facevo a reggere i suoi soliloqui, lo sparlare male di tutto e di tutti a tutti i costi... oggi tu eri una Santa e Domani il diavolo... Mia mamma ha detto che mi stava risucchiando tutte le energie, che mi stavo facendo del male a starle vicino... e l'ho lasciata perdere... Ho fallito? Ho vinto?... non lo so... ho perso un'amicizia (semmai lo sia stata) ma ho ritrovato la serenità :)
Perciò ti ammiro per aver retto tanto e ti ammiro perchè hai capito quando era arrivato il momento di dire basta...
Ero passata per dirti che c'è un Premio di là da me e dopo aver letto il tuo post (con un gran magone...) sono ancora più felice di avertelo donato!
Un bacione grande
Quando questa persona è tua sorella è ancora peggio!!!
Ho una amica, una bellisssima persona, di quelle che pensi esistano solo nelle fiabe o, se sono reali facciano parte delle illuse, delle persone fuori dal mondo, stupide illuse...e invece no, lei è reale e vera e crede in quello che fa e pensa. Ha una sorella, che dopo vent'anni di matrimonio, con 4 figli e una bella carriera e una bellavita ha iniziato a bere, uscire di notte senza ragione, soffrire di anie di persecuzione e poi a straparlare e a tentare il suicidio. Le è stato diagnosticata una forma di psicosi dal nome complicato.
E' riuscita a sfinire il marito, che la ama moltissimo, i figli che sono terrorizzati dalla madre, a sorella, mia amica che si stà prosciugando per starle appresso...è terribile soprattutto perchè questa famiglia è sola. PPsicologi, psichiatri, ospedali e ckiniche ti seguono per un po', ma poi ti lasciano, se questa signora non vuole farsi curare,- dicono - non ci possiamo fare niente. La signora in questione è convintissima di essere sana e che sono gli altri ad avercela con lei, quindi...non c'è soluzione e come ho scritto "Il dolore in questo campo è infinito, totale, racchiude tutto l’essere ed esplode in un muto urlo che ti entra nella testa e ti destabilizza…"
Hai fatto bene, Gata, ricorda che l'unica persona che devi sempre salvaguardare in questo mondo sei tu. Solo se tu sei viva e puoi fare puoi cambiare ciò che ti sta intorno.
Baci e buone vacanze.
Posta un commento